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Giornalista, pianista e scrittore olandese, Eric Schoones è attualmente direttore della nuova rivista tedesca “Pianist” e scrive anche per International Piano e per la rivista olandese “Luister”. Ha appena pubblicato il libro Walking up the Mountain Track – The Zen Way to Enlightened Musicianship.
Cosa significa per Lei essere un critico musicale oggi?
«Recentemente ho intervistato Daniele Gatti, e lui ha detto: ‘Al concerto, tutti nel pubblico ascoltano la stessa musica. Ed è affascinante che le persone abbiano reazioni molto diverse, forse come risultato della loro esperienza durante il giorno: a qualcuno sono salite le azioni in borsa, a qualcuno è nato un nipote, un altro può aver avuto un incidente o un problema con la sua fidanzata… Ma tutti sono nudi di fronte alla musica: anche i critici. Pure se ci sforziamo di essere oggettivi, senza farci influenzare dalle nostre emozioni, ciò è ovviamente impossibile.’
Questo è un punto interessante, e devo dire che non mi piace veramente considerarmi un “critico”, e non mi piace particolarmente scrivere recensioni di concerti, perché so che il mio apprezzamento per una performance è sicuramente influenzato da cose che hanno a che fare con me, e non con l’esecuzione o con l’artista che si esibisce.
Quindi, chi sono io per giudicare? Naturalmente, una recensione può essere interessante per i lettori, ma bisogna sempre ricordare che è un parere molto soggettivo di una persona in un determinato momento. Quindi le recensioni hanno un valore relativo, anche se sono ancora molto importanti per i musicisti: una recensione entusiastica può aprire molte porte, mentre è vero anche il caso contrario. Mi chiedo se i critici siano sempre consapevoli di questa responsabilità… Inoltre consiglio a ogni critico di suonare di volta in volta un concerto, per ricordarsi di quanto ciò sia impegnativo».
Come, secondo lei, internet e i social media possono influenzare il modo in cui la gente percepisce la musica classica?
«Agli albori della televisione e della comunicazione di massa, la gente pensava che essa fosse uno strumento perfetto per educare o addirittura elevare il pubblico. In realtà, la televisione ha avuto l’effetto contrario. Oggi possiamo ascoltare musica di ogni stile, e di ogni epoca, in qualsiasi momento del giorno, il che ovviamente è una cosa meravigliosa. Ma la tecnologia, i social media e l’internet cambiano il nostro mondo, e il modo in cui noi lo percepiamo, e ciò rischia di distrarci dalle cose più importanti, come il silenzio interiore e lo sviluppo personale».
Lei è anche redattore di una nuova rivista tedesca di musica classica, “Pianist”. Quali sono le priorità e l’obiettivo del suo ruolo?
«La mia priorità principale è condividere l’amore per la musica, l’arte, la bellezza e la verità, offrire qualcosa di lontano dalle preoccupazioni quotidiane. Penso che l’arte in generale, ma soprattutto la musica, possa essere essenziale nella vita, perché attraverso l’arte e la musica ognuno potrà scoprire la propria interiorità in modo più profondo (come ha detto Celibidache), e questa è la cosa più bella: conoscere noi stessi e meravigliarci per le cose che non capiamo. Se una rivista può aiutare a ispirare e informare, in modo che più persone possano sperimentare cose come queste, ritengo che sia una causa molto utile. Anche se dobbiamo sempre ricordare che non è veramente necessario essere intenditori di musica classica per poter apprezzare il suo messaggio e il suo contenuto».
Il suo recente libro riguarda il rapporto tra la musica e lo zen. Come mai ha deciso di esplorare questo tema?
«Da oltre due decenni rifletto sul rapporto tra musica e zen, ed è stato sempre più chiaro per me che “everything is connected”, per citare il titolo di un libro di Daniel Barenboim (tradotto in italiano con il titolo “La musica è un tutto”). Ho pubblicato finora cinque libri sulla sostenibilità, l’economia circolare e il cambiamento climatico e attualmente sto suonando in concerto un programma intitolato “Note Sostenibili”, insieme a Sofie Dhondt, una meravigliosa cantante jazz: cerchiamo di spiegare l’economia circolare in termini musicali, passando dal classico al pop, jazz, rap. Sono convinto che la musica e l’arte possano essere fattori molto importante nella società, come ha detto Leonard Bernstein: ‘L’arte non ha mai fermato una guerra e non ha mai ottenuto nessuno un lavoro: non è questa la sua funzione. L’arte non può cambiare gli eventi, ma può cambiare le persone. Può influenzare le persone in modo che esse siano cambiate. E quando delle persone sono cambiate, perché il loro spirito è nobilitato, incoraggiato e arricchito dall’arte, esse agiscono in un modo che può influenzare il corso degli eventi: nelle loro scelte elettorali, nei loro comportamenti e nel loro modo di pensare’. Questo è, a mio avviso, molto importante, anche se, purtroppo, i politici e i governi di tutto il mondo fanno fatica a capire l’impatto profondo che l’arte può avere sulle persone».
Può dare qualche suggerimento ai giovani studenti che stanno cercando di intraprendere una carriera come musicisti classici?
«”Cercare di intraprendere una carriera”, è già un grosso errore di per sé. Dimenticate la carriera e pensate alla musica: ‘La musica deve essere servita, non utilizzata’ era il motto di Dinu Lipatti. Rachmaninoff ha dichiarato: ‘La musica è sufficiente per tutta la vita, ma una vita non è sufficiente per la musica’. Nessun concertista attuale può confrontarsi con questi giganti; e loro non pensavano a fare carriera. Più recentemente, Arcadi Volodos ha dichiarato: ‘Non ho mai suonato per raggiungere un obiettivo preciso: non è il mio modo di agire, non rientra nella mia natura. Non suono mai per impressionare il pubblico, o per ottenere un successo rapido. È più importante il percorso della meta, e a me interessa solo suonare il pianoforte. Mi piace migliorare passo dopo passo e naturalmente, senza sforzo. È importante il nostro percorso personale, non l’effetto sul pubblico, né il successo esteriore’. In questo senso, possiamo imparare molto dall’approccio di alcuni maestri Zen, come Shunryu Suzuki».
Come lo zen ha modificato o influenzato il suo approccio alla musica, sia come critico che come musicista?
«Non credo che lo zen abbia modificato il mio approccio alla musica, ma mi ha certamente reso molto più consapevole di queste cose».